Si parlava solo qualche giorno fa dei difficili addii del nostro viaggio. Salutare “Blue Spring” e’ stato, sicuramente, uno dei piu’ difficili.
Innanzitutto volevamo scusarci per la latitanza al blog delle ultime settimane e per l’ultimo post molto sintetico. Un po’ dovuto al fatto che le foto di Matteo mi rubano ogni parola, un po’ al fatto che eravamo psicologicamente molto presi dalla vendita della nostra casetta mobile.
Avevamo una settimana dalla partenza per Bangkok per concludere la vendita e ci siamo resi conto che purtroppo, in questa stagione, c’e’ molta piu’ gente che vende di quella che compra, specialmente nella citta’ di Christchurch. Ma alla fine, nonostante le nostre paure di doverlo abbandonare da uno sfasciacarrozze, siamo riusciti a rivenderlo in solo tre giorni, a due viaggiatori inglesi.
La gioia della buona vendita si e’ mischiata alla tristezza nel lasciare un pezzo importante della storia del nostro viaggio. Un sogno che ci ha aiutati a girare la Nuova Zelanda nel miglior modo possibile e che nonostante la sua eta’ (1985!) si e’ comportato benissimo e ci ha fatto da vera e propria casa negli ultimi quattro mesi.
Il lato selvaggio della Nuova Zelanda, il profondo sud dell’isola con piu’ pecore che esseri umani, le prime montagne con le cime innevate, i ghiacciai che ci hanno ricordato la nostra amata Patagonia e i fiordi non piu’ circondati da isolotti che sembrano docili colline, ma da montagne imponenti a picco sul mare ricoperte da rigogliose cascate.
Risvegli in compagnia di foche e giocosi delfini, scogliere modellate dal mare e dal vento e pinguini dagli occhi gialli che spuntano a sorpresa dagli scogli. Tra campi cosparsi di balle di fieno dai colori impressionisti e spostamenti di intere case…
… ultimi giorni di camminate con una notte in una vecchia scuola trasformata in rifugio e ora ultimi giorni in citta’, a Christchurch, prima della prossima partenza. Matteo ci saluta e torna verso l’Italia, noi giovedi’ partiamo verso l’India del sud con una piacevole tappa di qualche giorno a Bangkok.
Le parole non sono sufficienti per descrivere i posti che abbiamo visto, quindi buona visione, ringraziamo Matteo per essere passato in mondovisione e aver arricchito i nostri scatti.
Quando eravamo in Sud America tanti ci avevano detto che la Terra del Fuoco ricordava il sud della Nuova Zelanda, basta guardarne le nuvole, anche qui il cielo e’ distante come in Patagonia.
“Puo’ sembrare strano, ma il momento in cui ci siamo resi conto che l’avremmo fatto, che finalmente dopo anni di sogni, pensieri e momenti mancati, saremmo partiti per il nostro round the world trip, e’ stato il giorno in cui siamo entrati nella librería “Il Giramondo” e senza neanche rendercene conto, come se fosse la cosa piu’ naturale del mondo, ne siamo usciti con una copia di: SouthAmerica on a shoestring (Lonely Planet). Ci siamo guardati in faccia e ci siamo detti:”Allora questa volta facciamo sul serio!” e l’adrenalina, che ci avrebbe accompagnato per i seguenti mesi, e’ iniziata a crescere in maniera indescrivibile.”
Un anno fa partivamo per Buenos Aires con il nostro biglietto di solo andata. Dalla Terra del Fuoco alla California fino a qui in Nuova Zelanda, ne abbiamo fatta di strada…
…un anno di camminate, zaini fatti e disfatti, polvere, strade e dito alzato, ostelli, cabanas, tenda e furgone, nuovi incontri e difficili addii, paesaggi montani e mare dei caraibi, odori, colori e suoni diversi, animali selvaggi e spiagge isolate, 45 gradi e -20, deserti di roccia e sabbia e mare bianco, grandi capitali e minuscoli villaggi, sacchetti di acqua da bere e inca-cola, jungla e imponenti cascate, ospitalita’ infinita, ore e ore di pulman e lunghe attese di amici in arrivo…
“Se non ci provi non lo saprai mai” dice la spilletta di Cate sulla nostra borsa, un anno di viaggio, sei anni insieme, ho sempre sognato che qualcuno mi prendesse e portasse via…grazie amore…
Per concludere in bellezza il giro della north island, dopo giorni di mare, abbiamo finalmente iniziato ad affrontare le montagne neozelandesi con un bel trekking o come si dice da queste parti, tramping.
Grazie agli utilissimi consigli del nostro amico John, tuttologo del tramping in Nuova Zelanda, siamo andati al Tongariro National Park, altra location utilizzata per varie ambientazioni del Signore degli Anelli, come la terra di Mordor (guardando le foto e’ facile immaginarla abitata da orchi intenti a forgiare le loro armi).
Tre giorni di cammino che hanno messo a dura prova le nostre scarpe e il nostro fiato :-).
Cime innevate, rossi crateri, vento freddo e sole ustionante, laghi color smeraldo e calda terra vulcanica, fitti boschi e chilometri di deserto lunare.
Non sappiamo quanta strada abbiamo fatto, alla fine dell’ultimo giorno, riguardando la valle attraversata non riuscivamo a capacitarci di aver camminato cosi’ tanto, ma la soddisfazione e gli scenari incredibili hanno ripagato ogni sforzo.
Il 28 e’ arrivato Matteo, il re magio dall’Italia carico di doni :-). Dopo averlo raccattato all’aereoporto di Auckland, piazzatolo nel furgone a riprendersi dal jet-leg, ci siamo immediatamente messi in moto verso il nord dell’isola: le Bay of Islands.
Come potete dedurre dal nome si tratta di una zona di mare con moltissime isolette, baie e spiagge una piu’ bella dell’altra.
I nostri amici Kiwi ci avevano un po’ spaventato dicendoci che avremmo incontrato molto traffico e tanta gente data l’alta stagione, ma non hanno proprio idea di cosa sia veramente l’affollamento.
Noi abbiamo passato una settimana a girare nei posti piu’ meravigliosi a volte senza incontrare anima viva, dormendo in baie a noi riservate o su colline con vista sulle isole.
Il 31 mattina ci siamo svegliati in una di queste spiaggette e, con l’aiuto della bassa marea, abbiamo scoperto di essere in una zona piena di ostriche. Niente male come colazione!! :-)
Il paesaggio stupisce continuamente, ogni giorno siamo in ritardo sulla tappa successiva perche’ ogni chilometro ci si ferma a scattare una miriade di foto, panorami incredibili, un’infinita’ di verde in ogni possibile sfumatura con colline che sembrano tuffarsi direttamente in mare.
Tra una strada e l’altra ci si imbatte spesso in cartelli che segnalano la presenza di Kiwi: parola nazionale che indica non solo gli abitanti della Nuova Zelanda, non solo il frutto nazionale, ma anche il “mai visto” uccello Kiwi, mascotte del paese.
Pare che nessuno l’abbia mai visto in liberta’, ed ora purtroppo e’ in via d’estinzione, anche perche’ apprezzato in passato come prelibetezza culinaria dai Maori. Chissa’ che non ci capiti di vederne uno prima di partire.
Abbiamo festeggiato il capodanno con dodici ore di anticipo in un paesino sul mare dove l’evento principale erano i fuochi d’artificio con tutta la gente a guardarli dalla spiaggia. Noi abbiamo trovato un localino con un po’ di musica dal vivo e passato cosi’ la fine dell’anno tra una birra e un bicchiere di San Simone, regalo di natale di Matteo.
Niki e Julian sono proprio due persone splendide. Ci hanno riospitato e coccolato in attesa dell’arrivo di Matteo. Ci siamo salutati con commozione e con la consapevolezza di rivederci da qualche parte del mondo, in Italia o in Australia. Si’ perche’ anche loro entreranno a fare parte della numerosa schiera di neozelandesi che lasciano il paese per andare a vivere nella vicina Australia.
Ho parlato molto con Niki in questi giorni e le ho chiesto il motivo di questa loro decisione. Dovete sapere che per un neozelandese e’ piuttosto normale cambiare casa, lavoro e vita in qualsiasi momento, non sono cosi’ vincolati culturalmente come lo siamo noi italiani.
Lei mi ha spiegato che si erano stufati di lavorare e pagare sempre piu’ tasse, un 30% del loro stipendio circa, mentre in Australia pare che gli stipendi siano migliori e le tasse inferiori. Ma dove finiscono tutti i soldi che i neozelandesi versano in tasse?
Niki mi spiega il sistema dei sussidi con cui vivono piu’ di 300.000 persone su una popolazione, ricordiamo, di soli quattro milioni di abitanti. Molte di queste persone non pensano minimamente di cercarsi un lavoro e vivono da generazioni mantenute dal governo.
Famiglie intere, senza nessun particolare problema sociale, che non lavorano e vivono di sussidio per anni e anni. Loro vivono non facendo nulla e chi lavora paga piu’ tasse per poterli sostenere.
Tutti sono a conoscenza del problema e sanno che molta gente richiede e ottiene facilmente il sussidio solo per mancanza di voglia di lavorare e non per reali esigenze sociali, ma nessun partito osa opporsi a questo sistema perche’ cosi’ rischia di perdere una grossa fetta di elettori.
Niki mi racconta di non essere contraria all’esistenza dei benefit, lei stessa per tre anni li ha richiesti, quando era madre di sei figli piccoli e con un ex marito in carcere. Sicuramente esistono persone che possono necessitare di un aiuto e visto che lo stato sociale in Nuova Zelanda e’ alto e puo’ permettersi di aiutare i piu’ bisognosi perche’ non farlo. Il problema e’ come il sistema sia degenerato al punto che quasi chiunque puo’ ottenere un sussidio, anche solo andando dal medico e facendosi fare facilmente una dichiarazione di infermita’ per poterli ottenere.
Il primo impatto con la Nuova Zelanda e’ quasi per tutti meraviglioso. La gente che ti saluta per le strade, i casellanti (dell’unica strada a pagamento incontrata finora) che ti sorridono sempre, le commesse al supermercato che non dimenticano mai di augurarti una buona giornata, le dritte che ti vengono date nei negozi anche a costo di mandarti a comprare dalla concorrenza per farti spendere meno. Per non parlare degli impiegati in banca, vestiti con semplici magliette che in pochi minuti ti aprono un conto corrente con tassi di interesse del 7.5%. Un paese dove ogni tot km si trova un’area di sosta con toilette pulitissime e dotate di carta igienica a qualsiasi ora del giorno, barbecue gratuiti e rigorosamente puliti in riva al mare.
Un paese dove si vedono conigli saltellare liberamente agli angoli delle strade e che si vanta di avere solo due specie di animali pericolose per l’uomo.
Un paese dove le ragazze, alla mia eta’, normalmente sono gia’ al terzo figlio. Molte di loro non hanno bisogno di lavorare, vengono aiutate ricevendo un sussidio dal governo. Qui la donna ha pari diritti, se non superiori, all’uomo, d’altronde e’ il paese dove abbiamo ottenuto per prime il diritto di voto.
In Nuova Zelanda non esiste il concetto di appartamento, anche le persone disagiate hanno una loro casetta di legno, sempre con un angolo di giardino annesso. In ogni piccola citta’ c’e’ piu’ di un parco, vari percorsi per camminare e piste ciclabili. Giocare a golf e’ uno sport alla portata di tutti, con 5 euro si puo’ praticare tutto il giorno nei numerosi campi a disposizione.
Mentre i giovani neozelandesi fuggono dalla loro terra in cerca di lavoro all’estero, la fuga dei cervelli come la chiamano qua, gli europei vi arrivano per donare le proprie braccia all’agricultura locale e racimolare denaro per i propri viaggi.
E cosi’ si finisce a fare i lavori che i Kiwi non vogliono piu’ fare, tra viaggiatori di altri paesi e immigrati indiani, pakistani, sudamericani. La differenza sostanziale e’ che tra i viaggiatori c’e’ chi lavora per comprarsi una tavola da surf o chi, come noi, per racimolare miglia aeree, loro, invece, per mandare i soldi alla propria famiglia.
Qualcuno di questi immigrati e’ qui da anni, ha la cittadinanza neozelandese e gestisce il grande flusso di lavoratori per la stagione di raccolta frutta.
Noi, nella nostra ricerca di un lavoro diurno, ci siamo imbattuti in Hamid.
Hamid, di origine iraniana, ma con identita’ differenti (ci sono quelli che lo conoscono come George, chi come Steve o come un suo alter ego Mike) di mestiere fa il contractor: colui che si occupa di trovare i lavoratori da spedire nei vari frutteti.
I contractor, purtroppo, troppo spesso, sono figure poco chiare che sfruttano il grosso traffico di persone richieste per le stagioni di raccolta.
Con Hamid intratteniamo tutti i giorni una fitta corrispondenza via essemmesse per scoprire, di volta in volta, non prima delle dieci di sera, in quale piantagione lavoreremo il giorno seguente.
Per queste prime due settimane il nostro lavoro e’ stato il flower picking, ovvero la raccolta dei fiori maschi del kiwi da cui si estrae il polline per l’impollinazione artificiale.
Lavoriamo a cottimo, pagati a chilo! Vi siete mai chiesti quanto puo’ pesare un fiore?!? Poco ve lo assicuriamo. Il lavoro non e’ cosi’ semplice come si puo’ pensare, bisogna prendere solo i fiori maschi, non troppo aperti ne’ troppo chiusi, un solo fiore femmina puo’ causare l’annullamento di tutta la borsa, ma non e’ cosi’ facile distinguere il sesso di una pianta e il lavoro di tutta una giornata puo’ andare perso per colpa di una femmina!! Per non parlare delle api che giustamente vorrebbero fare il loro lavoro in pace e non essere disturbate da mani invasive.
“Si possono percorrere milioni di chilometri in una sola vita senza mai scalfire la superficie dei luoghi ne’ imparare nulla dallle genti appena sfiorate. Il senso del viaggio sta nel fermarsi ad ascoltare chiunque abbia una storia da raccontare” (Pino Cacucci “Camminando“)
Paola, di Sondrio, e’ arrivata in Nuova Zelanda ventanni fa con una borsa di studio dell’universita’ e non e’ piu’ ripartita. Ricercatrice agraria dopo una settimana ad Auckland gia’ aveva avvisato colleghi e professori in Italia che difficilmente l’avrebbero rivista tornare a casa. Ora, dopo tanti anni, vive nella Bay of Plenty in una casa meravigliosa con vista sulla baia e sui frutteti di kiwi di sua proprieta’.
E’ fidanzata con Francesco, abruzzese, con cui ha creato la Sheeperino, piccola produzione di buonissime ricotte e pecorini con la quale tentano di educare i neozelandesi al gusto del buon formaggio sotto il marchio slow food. Conducono la nostra vita ideale: sei mesi in Nuova Zelanda e gli altri sei mesi in viaggio tra saluti in Italia e giri in barca per il Peloponneso.
Luigi, milanese, e’ in Nuova Zelanda da dieci anni. In Italia aveva un concessionario di moto BMW, ma non partegli dell’Italia, perche’ e’ l’ultimo paese dove tornerebbe a vivere. Deluso dai soliti problemi italiani:lavoro, lavoro,lavoro, tasse, tasse, tasse e ancora lavoro, lavoro, lavoro….. dopo una breve tappa alle isole Cook e’ sbarcato in Nuova Zelanda. Con pochi soldi e in pochi anni ha aperto e avviato ristoranti e un pastificio italiano creandosi un nome e una buona clientela. In Nuova Zelanda, per persone in gamba come lui, tutto e’ possibile. Ma oltre ad aprire ristoranti di successo, Luigi ha anche imparato alcuni pregi dello stille di vita neozelandese: non bisogna per forza lavorare quindici ore al giorno, per cui ogni tanto, se non lo si trova al ristorante, si e’ sicuri di incontrarlo al campo da golf.