Dopo sole 24 ore di La Paz avevamo gia’ deciso di abbandonare il caos della città … non ci siamo più abituati.
Nonostante ciò, la capitale è comunque affascinante: abbarbicata sulle pendici di un grande canyon che sembra aprire in due l’altipiano boliviano, stordisce con il suo disordine, nei mille mercati improvvisati in ogni via in cui puoi trovare dalla paccottiglia tecnologica a meraviglioso artigianato locale.
Così abbiamo deciso di spostarci e ci sembrava che la cittadina di Coroico, situata nella Yunga tropicale a pochi chilometri da La Paz, facesse al caso nostro.
Per andare da La Paz a Coroico ci sono due opzioni: la prima è percorrere la cosidetta Strada della Morte, una discesa mozzafiato che in soli 80 Km scende di 3.000 metri di altitudine. La media e’ di 100 incidenti all’anno, a testimonianza dai dirupi si possono vedere le carcasse dei pullman caduti. L’offerta standard per i Gringo è quella di percorrere la strada su mountain bike ipertecnologiche buttandosi a capofitto sulla stretta carettera, ma noi abbiamo scelto la seconda opzione: il camino inca del Choro.
Tre giorni di trekking durante i quali si scende dai 4.800 metri della Cumbre ai 1.300 metri della Yunga, percorrendo un antico sentiero costruito e utilizzato dagli Inca prima della Conquista. È estremamente affascinante perchè si ha la possibilità di passare dalla cima della cordigliera innevata al caldo tropicale della giungla. Era anche il primo trekking a queste altezze e il primo giorno i polmoni ce lo hanno fatto presente.
Nei tre giorni si “scende” attraversando paesini remoti costituiti da quattro case solo in pietra dove capita che i bambini per andare a scuola debbano percorrere ogni giorno due ore del cammino.
La notte si dorme in tenda in piccoli accampamenti: il primo giorno lungo il fiume in un paesino di poche case; il secondo in uno stretto corridoio verde che domina le montagne, dove vive solitaria una signora amabile con due galline e tre gatti, da cui compriamo le uova fresche per la nostra colazione.
In paese ci avevano detto “da la Cumbre es toda bajada”, ma in realtà per discendere i 3.000 metri occorre spesso scendere nel punto più profondo della valle, dove scorre il fiume, e poi risalire di nuovo in cima per superare la nuova collina che ti si presenta. Faticoso, pero’ la vista vale lo sforzo: dallo stretto sentiero quasi sempre pavimentato, con pietre centenarie, si aprono squarci su immense vedute di colline verdi che paiono enormi panettoni (Scritch li chiama Barbapapà) spesso avvolti da nuvole, che si trasformano in nebbie e poi in bruma.
Durante il tragitto è molto interessante conoscere la gente che abita nei minuscoli villaggi che il cammino attraversa: gente che vive davvero come un tempo e che una volta alla settimana percorre il sentiero che noi ci riteniamo più che soddisfatti ad aver affrontato una sola volta nella vita.
In una delle ultime soste ci fermiamo a Sandillani, un paese a 2000 metri abbandonato da più di 50 anni, dove è andato a stabilirsi il Giapponese. Il Giapponese è un personaggio noto a chi decide di affrontare il cammino, tutti i trekker passati da lì te ne parlano quando scendono in città e quindi abbiamo subito voluto conoscerlo.
È un personaggio fantastico: ora ha 70 anni circa, tutto curvo e un po’ arruffato ci racconta, in uno spagnolo da uno strano accento, che a 23 anni è fuggito dal suo Giappone su una nave cargo, si é fermato un po’ a Singapore, poi Sud Africa e infine in Brasile (un mondovisionario come noi insomma). Da lì è risalito fino agli altipiani della Bolivia e quando è capitato a Sandillani ha deciso che quella era la sua nuova casa. Anno dopo anno si è fatto spazio nel bosco che aveva avvolto il paese abbandonato e ha costruito un vero e proprio giardino giapponese con tanto di rose, piante colorate e sentierini che lo percorrono. Come un eremita. Poi ha iniziato ad ospitare le tende dei camminatori che affrontavano il trekking e da li è iniziata la tradizione di compilare una sorta di registro dei passanti. Lo abbiamo fatto anche noi, indicandogli sulle sue mappe disegnate a mano dove si trova Torino, e con orgoglio abbiamo scoperto di essere i primi visitanti della nostra cittá.
Dimenticavo un aneddoto “divertente”: una mattina ci mettiamo in cammino e ci tocca affrontare un toro impazzito che aveva deciso di uscire dal suo recinto e “farsi una corsetta” sul nostro sentiero. Per fortuna la coraggiosa signora che ci ha ospitato sapeva il fatto suo. Ci dice di seguirla armati di bastoni e ad un suo cenno iniziare a battere i bastoni a terra nel tentativo di deviare il percorso del toro verso il suo recinto. Facile a dirsi, ma quando di colpo ti ritrovi a quattrocchi con un enorme bestia cornuta a un metro da te, quando il bastone di Scritch si rompe dopo neanche un secondo, non e’ facile resistere alla tentazione di darsela a gambe. Altro che corrida!! Per fortuna tutto e’ andato per il meglio, la tecnica della signora ha funzionato, e dopo quei 30 secondi in cui ci siamo visti scorrere tutta la nostra vita (proprio come nei film avete presente no?!?!), in cui la temperatura corporea e’ passata da -30 a +50 in un pico secondo, il toro ha deciso che forse non eravamo un granche’ per il suo pasto quotidiano ed e’ tornato nel suo recinto.
4 Comments
Bellissime le foto del vostro trekking lungo il sentiero……Bravi!!!
luoghi affasinanti incontri interessanti anche se si incontra un toro.vero ”?NONNA
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